Sul frinire della sera

18 aprile 2025

L'umidità dell'aria superava persino quella dei giorni precedenti. Fuori, sul terrazzo, soffiava di tanto in tanto una brezza timida. I rami più alti degli allori cercavano di afferrarla nel vano tentativo di trattenerla più a lungo. Ci provavo anch'io, ma non c'era modo di farla entrare in quella casa senza finestre sull'altro lato. Sembrava rinfrescante, probabilmente non abbastanza, ma era uno di quei casi in cui il troppo poco vale più del tanto. E gli alberi lo sapevano bene.

Le uniche a non darci peso sembravano le cicale. Cantavano da ore, all'inizio in poche ma la festa si è allargata in fretta; sanno che è estate, che c'è ancora tempo e che comunque vada poi tanto si bussa alle formiche. I problemi non esistono per chi ha qualcun altro a cui farli risolvere.
Io finivo di pulire il ripiano della cucina - detestava il fondo di moka che lasciavo sempre nel lavandino. Sei proprio un uomo, mi diceva -, pensavo a condizionatori e formiche. Ai primi non volevo cedere, le seconde... non lo so. Davvero stavano lavorando? Non è che poi le trovavi a cantare con le cicale? E questo caldo, non lo sentivano?

Il telefono sul ripiano vibrava di continuo, in cerca di attenzioni. Invano. Tentava di ricordarmi che ero imprenditore, a me che pensavo d'esser poeta e che in realtà non ero nessuna delle due cose. Sognavo, ma poi mi svegliavo e mi sbagliavo.
Messaggi, chiamate, domande mal poste che esigevano risposte. Cicaleccio.

- Non puoi spegnerlo?

Era distesa sul divano alle mie spalle, il cane ai suoi piedi, immobili, come l'aria nella stanza. Leggevano di psicoterapie e altre grammatiche dell'uomo, tra le sue letture preferite (di lei, al cane andava bene tutto, purché si stesse sul divano).
Spegnerlo, non era una brutta idea. Spegnerlo del tutto, però, per non riaccenderlo, per non dover più rispondere, per tornare alle domande, alla poesia.
Sveglia, poeta, hai ancora i fornelli da sgrassare.

- Finisco qui e lo silenzio.

Fuori due gatti si erano messi a litigare, gli alberi li fissavano e io con loro, le cicale si erano zittite. Per un attimo quel piccolo mondo si era fermato, terrorizzato dall'improvviso cambio di programma, ma pochi secondi dopo tutto era tornato come prima. Solo le formiche avevano continuato a lavorare, imperterrite. Qualcuna era stata schiacciata nel trambusto, qualcuna aveva provato a sollevare la testa per provare a capire, non ci era riuscita e l'aveva nuovamente chinata. Le cicale erano tornate a cantare, bisognava preparar loro la migliore delle accoglienze per quando si sarebbero stancate, non era il caso di distrarsi. Il cane si era addormentato da un pezzo, lei lo aveva seguito poco dopo, i suoi occhi curiosi e testardi mi sorridevano anche nel sonno.

Si udì il ripiano vibrare, anche il telefono aveva ripreso il suo frinire; sollevai la testa per provare a capire chi fosse, lo afferrai, lo spensi e lo gettai dal terrazzo.
Al tonfo seguì un nuovo silenzio per l'ennesima sorpresa, lei aprì appena gli occhi ed allargò il braccio perché potessi unirmi a loro.

Alla finestra la brezza scostava delicatamente la tenda per osservare la scena.